Friuli: Come nasce un sottotitolo, ovvero un caso di copyrighting carnico

Friuli: Come nasce un sottotitolo, ovvero un caso di copyrighting carnico

Anni trenta del Novecento, due signore di Ampezzo, Dina di Nâto e Catina di Catin, prendono il caffè nel tinello di Catina, come al solito aggiornandosi sulle ultime novità. D’un tratto Dina si sovviene di un fatto e per catturare l’attenzione dell’amica esclama: “Folc lu ardi chel Dante!” con una tipica imprecazione ancor oggi riservata più o meno bonariamente a quei personaggi che l’hanno combinata grossa, siano paesani o… poeti. Ma qui nasce l’equivoco: Catina pensa subito a quel giovane scapestrato di Dante di Vigji di Rôsa e accigliata domanda all’amica cosa avesse mai combinato ancora, mentre Dina, che ha appena ricevuto l’ultima dispensa uscita della Divina Commedia, è ancora turbata dalla lettura dei simoniaci delle Malebolge, dove Dante ha messo i Papi a testa in giù nelle fosse e gli ha fatto bruciare i piedi dalle fiamme…

Luciano Martinis è un artista nato ad Ampezzo, vissuto per gran parte della vita a Roma e ritornato in Carnia da pochi anni, portando con sé un bagaglio di esperienze e ricordi che a volte ci stupisce… 

Ne abbiamo avuto qualche assaggio quando durante una chiacchierata informale ci hai raccontato l’aneddoto che ha dato lo spunto per il sottotitolo del progetto su Dante a cui stavo lavorando. Per me è stato come ricevere una sintesi di quello che avevo in testa e ti ho subito chiesto di poterlo utilizzare, ti ricordi?

Certamente, quell’episodio delle due anziane signore che prendono il caffè d’orzo parlando dei pettegolezzi locali (oggi si direbbe gossip, credo) e si scaldano raccontandosi delle ultime letture della Divina Commedia è sempre vivo in me: è stata mia madre a raccontarmelo, insieme ai tanti aneddoti che sono scorci di uno stile di vita che non c’è più ma a cui sono legato perché fa parte del mio background, insieme agli studi artistici e alle esperienze giovanili. 

Erano tempi in cui  si parlava solo il carnico, una lingua ricca di sfumature, ironica, colorita, particolarmente adatta al racconto e arguta. E’ una parlata che forma anche un certo tipo di mentalità, che ancora oggi è tipica della gente di queste valli. Gli aneddoti custodiscono lingua e mentalità, come delle piccole parabole laiche popolari, io ci sono molto legato.

Folc lu ardi … come lo tradurresti?

Che Dio ti fulmini Maurizio! Vuol dire, senza scomodare divinità, che ne hai detta o fatta una tale che ti meriteresti di venire incenerito sul posto da una saetta, evento raro e improbabile riservato a pochi eletti. Ma è anche un modo affettivo (e ammirato) di includere la tua impresa nell’enciclopedia infinita-anedottica ad uso di osteria. Il racconto di quello che ti farebbe meritare l’incenerimento in realtà serve a far “passare l’ora” ai paesani e a tramandare in forma rigorosamente orale la storia minima ma anche eccezionale della Carnia. 

Si scrive come si dice, in alcune varianti, ma il senso è quello che ti ho detto…

Ma oltre a questo aspetto più colorito che mi hai spiegato, in quell’aneddoto ci ho visto un mondo che non mi aspettavo, che mi si è rivelato: una diffusione così popolare, casalinga, una dimestichezza di lettura diretta, non scolastica, ma anche a suo modo spontaneamente critica. Le due signore leggevano Dante come passatempo?

Certo! Ai loro tempi (parliamo degli anni trenta del Novecento) queste letture che circolavano in tutte le case, di tutti i ceti sociali, rappresentavano molte cose, se ci pensi: un contatto volontario con una cultura nazionale (veicolata da fior di editori, come Sonzogno), un contatto però non mediato: c’era un alto livello di alfabetizzazione generale, magari funzionale all’emigrazione, ma c’era e veniva applicato anche sul piano dell’intrattenimento culturale personale. Nella Guida della Carnia e del Canal del Ferro di Gortani (edizione del 1924) e ancor più nel volume dedicato alla Carnia nella Guida del Friuli della Società Alpina Friulana (1898) ci sono dei dati precisi sull’alfabetizzazione delle genti carniche che lo confermano. Un’altra cosa: per quanto le dispense e le pubblicazioni rivolte al popolo tenessero una politica di prezzi molto abbordabili, erano comunque degli “investimenti” per le famiglie meno abbienti, eppure io ricordo di aver visto la prima volta le incisioni del Doré della Divina Commedia nel volume rilegato delle dispense Sonzogno, accuratamente conservato in fondo ad un baule in casa del mugnaio del paese! Io e il figlio andavamo di nascosto a sbirciarle… La cultura nazionale era un valore, i libri erano un valore e venivano conservati ma soprattutto letti.

E’ proprio a questa diffusione popolare che ho pensato di riallacciare il progetto, per legarlo al territorio ma anche alla sua storia, alle sue caratteristiche e “abitudini culturali”… 

Ovviamente i posti che avete scelto sono molto attraenti e confesso che approfitterò per visitarne alcuni che da tempo mi ripromettevo di vedere, ma leggervi insieme la Divina Commedia, anche in alcune versioni tradotte nel ladino-carnico di Fior, è un modo per avvicinarsi a questo mondo piuttosto complesso che è la cultura “popolare” carnica, fatta di mestieri, linguaggi, guerre, emigrazioni e piccoli aneddoti consolatori, ma anche di letture nazionali ed internazionali, di curiosità interpretante verso le realtà diverse. Il turismo è una risorsa, ma questo modo di avvicinarsi ad un territorio è qualcosa in più, c’è uno scambio di conoscenze e di approcci culturali, è interessante.

Aneddoti consolatori?

Ma sì, me ne sono reso conto quando sono stato a Buenos Aires a trovare alcuni parenti emigrati già due generazioni prima della mia: il nipote era della mia età e mi ha accompagnato un po’ in giro per la città. Mentre camminavamo, mi chiedeva se in quell’orto c’era ancora quel pero a segnare il confine e se il sentiero passava ancora vicino a quel tal masso… al che io gli chiesi da quanto tempo non tornava in Carnia e lui mi rispose ridendo che non c’era mai stato, ma che il nonno gli aveva descritto così minuziosamente quei luoghi che se li sentiva suoi! Erano racconti che mantenevano un legame, era un modo per conservare delle radici e sentire un’appartenenza, per non smarrirsi, anche se il mondo che rappresentavano così minuziosamente non esisteva più. 

Sento che mi stai tirando dentro nell’affabulazione… questi racconti minimi aprono degli scenari che raccontano molto più di quello che dicono, se mi passi il bisticcio…

E’ il fascino segreto della Carnia… 

Maurizio Ionico,
Carnia 2021

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