Italia: le lezioni che arrivano dalle aree interne.

Italia: le lezioni che arrivano dalle aree interne.

Lezioni in giro per l’Italia delle aree interne.


Antonio De Rossi

UniTo, Riabitare l’Italia


In questo mio girovagare da mesi per il Paese, attraverso aree interne e spazi di margine, due brevi conferme e una piccola epifania.

  1. Agli scienziati sociali, economici, politici, lo spazio interessa assai poco.

Parlo non dello spazio astratto dei grandi piani e strategie territoriali, ma proprio dello spazio fisico, “materico”.

Il progetto fisico è sempre e solo una mera derivata traduttiva delle progettualità economiche e sociali, e non ha valore in sé. Il patrimonio storico o ecosistemico è ad esempio una sorta di object trouvé naturalizzato che deve essere semplicemente tramutato in valore (prima simbolico e poi di scambio), non qualcosa di potenzialmente attivo che può essere riprocessato, riformulato, rimontato per dare vita a nuove valenze e istanze.

Analogamente, la qualità dello spazio fisico (una nuova scuola, dei servizi di supporto al welfare o alle nuove forme di economia) conta poco, conta essenzialmente come attrezzatura e dotazione, mentre è proprio nel delineare strategie fisiche e spaziali che si possono mettere a fuoco nuove opportunità intrecciate con i percorsi sociali e economici. Ma questo non viene quasi mai colto.

  1. Nelle esperienze di rigenerazione più significative e efficaci, l’intero armamentario di mappe di comunità, post it su grandi carte, tecniche partecipative ha valenza asintoticamente prossima allo zero.

Terminate le liturgie e ripiegati i devices, ripartiti gli esperti e i savants, gli abitanti smettono i panni degli indigeni e ritornano abitanti. Solo una cosa conta in fondo: esserci. Nelle cose, nel farsi delle cose, nei conflitti, nel gettare i ponti, nel costruire insieme.

Questa banale osservazione delegittima tutte le restituzioni scientifiche fondate sul resoconto di sequenze di applicazioni di tecniche e metodologie che in fondo sono circolari profezie performanti e auto-avveranti. Conta solo la valutazione dell’efficacia. E senza strategie indiziarie, biografiche delle pratiche reali capaci davvero di cogliere l’efficacia delle progettualità si va poco lontano.

È mero storytelling, panna automontata, sovente consolatoria per modalità disciplinari in crisi.

  1. Una piccola scoperta. Ci sono gli sguardi disciplinari differenti, e poi le pratiche specifiche, il tutto infine moltiplicato dalle differenze locali e geografiche. Quella che attraverso, è un’Italia con “stili” e “tradizioni” in fondo oramai abbastanza delineate.

Le Alpi occidentali pongono ontologicamente al centro spopolamento e reinsediamento, ma già in Carnia è differente.

Sull’Appennino emiliano è centrale la “lente” cooperativa.

In Puglia c’è la “nuova tradizione” che muove da Bollenti spiriti. In Irpinia il mito del turismo sostenibile da albergo diffuso.

In Sicilia le migliori realtà di innovazione a base culturale.

Che cosa unisce tutto questo? Quali sono i tratti in comune, oltre le irriducibili differenze?

Capire le matrici comuni dei cento e cento piccoli fuochi che stanno ardendo lungo i margini di questo Paese dentro a un cul-de-sac è importante.

Significa dare spina dorsale alle diversità, iniziare a capire la profondità e consistenza di una possibile prospettiva futura. Di progetto (non l’unico, ovviamente), innanzitutto culturale, per il Paese.

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