Friuli – Luciano Martinis: ragionamenti su arte, fuoco e ciò che resta

Friuli – Luciano Martinis: ragionamenti su arte, fuoco e ciò che resta

Una mostra collettiva a Tolmezzo rappresenta  -da parte degli artisti che l’hanno promossa- il desiderio di dare un segno di solidarietà con un’impresa artigianale storica in Carnia e di legame verso il retaggio culturale e tradizionale della loro montagna. Luciano Martinis, artista che da sempre lavora con la materia nelle sue forme più essenziali, in questa occasione si confronta anche col passato della sua terra, vivo anche fra le braci.

E’ una mattina di sole invernale, con una luce limpida che si riflette ovunque sulla neve nella piana di Invillino, attraversiamo una porta di metallo ed entriamo in un luogo denso, oscuro, con dei tagli di luce che provengono da squarci del tetto e il suono cadenzato di sottofondo di molti gocciolìi che rimbombano intorno.

Il fuoco ha sconvolto una storia che comincia nel Settecento con le voci dei tessitori di Jacopo Linussio, il proto-imprenditore tessile che vantandosi dei suoi ventimila telai suscitava l’invidia impotente dei mercanti veneziani che acquistavano le sue tele pregiate per commerciarle nelle terre conosciute… Poi l’Austria, la concorrenza e l’avvento dei telai meccanici hanno chiuso il capitolo florido della “Fabrica Linussio” per tornare alla produzione casalinga, diffusa nelle valli della Carnia. Quando poi, negli anni del boom economico, tutte le attività artigianali cedevano il passo alla modernità, una coraggiosa imprenditrice decise di andare contro corrente e avviare una produzione partendo da un’antico e fortunato telaio in legno, che -per miracoloso paradosso- resterà unico sopravvissuto alle fiamme del 2020.

Questo passato e le sue vicende impregnano ancora i resti carbonizzati del moderno laboratorio artigianale che per più di sessant’anni aveva rappresentato la passione e la cura della famiglia Tonon; si percepisce il lavoro cristallizzato nella notte in cui una scintilla ha trasformato in “falisçhis” ogni attività in corso, per lasciarci tutti sbigottiti e attoniti.

Queste “voci” e sensazioni del passato obbligano ad una narrazione: ogni macchinario, frammento di tela, ogni rocchetto di filo annerito è testimonianza e retaggio. Sta all’artista ora raccogliere questi messaggi che viaggiano su un piano sottile e che presto scompariranno nella pietà di una discarica: per questo siamo qui oggi, aggirandoci rispettosi e immersi in un mondo “altro”…

Luciano Martinis ha dedicato l’arte della sua esistenza a raccogliere frammenti collocati dal tempo e dagli eventi in luoghi inaspettati, svincolati dal loro contesto originario e di cui è quasi sempre ignoto il nome del precedente possessore.

Luciano Martinis, disegno per la mostra Falisçhis

Il lavoro artistico che segue il ritrovamento non è solo estetico/formale ma c’è anche la ricostruzione/invenzione di una delle storie possibili e di una delle logiche che hanno portato il frammento nelle condizioni in cui si trova: l’ultimo stadio della materia, il grado zero prima del disfacimento. Non è object trouvé, è la manifestazione di una coincidenza di percorsi fra l’artista e la materia colta nel corso della sua evoluzione. In quel momento sopraggiunge l’interpretazione a trasformare in reliquia ciò che giaceva nell’indifferenza.  

Ma qui il gioco delle parti è differente: la storia degli oggetti è nota, legata profondamente ad un passato della stessa terra che accoglie le origini dell’artista, i suoi legami… questi frammenti convertiti dal fuoco parlano inequivocabilmente la sua lingua madre e toccano corde personali. Questo coinvolgimento profondo non è (fortunatamente) solo suo: appartiene anche ad altre voci creative, anche più giovani, che davanti al disastro si sono mobilitate come davanti ad una calamità collettiva, con l’idea di una mostra che portasse l’aiuto degli artisti dopo quello dei pompieri.

Luciano Martinis entra quindi oggi nel capannone distrutto in uno stato creativo sì, ma anche con l’impegno ad essere tramite di una memoria definita, affinché venga custodita nel futuro, come il vecchio telaio di legno della signora Tomasina Da Ponte (in Tonon) attende. 

Silvia Tullio Altan
(testimone dei fatti e persona coinvolta)

Post a Comment